The Soul Cut #07
di Etienne Delbiaggio | 27 ottobre 2025
Esistono determinati tipi di montaggio che utilizzano delle tecniche e delle scelte che lavorano in maniera subdola per stimolare la nostra psiche, e darci delle emozioni a livello inconscio.
Un regista che ha sperimentato con questa tecnica è sicuramente David Fincher, in particolare nei film Fight Club (1999) e Seven (1995), dove sono presenti dei ghost frame che hanno un ruolo chiave nell’enfatizzare subdolamente il significato di alcune scene.
Il montaggio subliminale
A seguito di una vita che non lo soddisfa, il protagonista del film crea un alter ego interpretato da Brad Pitt (vedi foto al centro), che incarna tutto quello che lui non riesce a essere, in una sorta di super-io. L’esempio che viene mostrato qui sopra è la prima reale introduzione del personaggio che verrà successivamente presentato al pubblico come apparirà agli occhi del protagonista: come una persona reale, in contrasto alla soluzione finale dove scopriremo assieme al protagonista la vera natura del personaggio in questione.
Fincher inserisce un ghost frame dell’alter-ego quando il protagonista sta discutendo con un dottore dei suoi problemi d’insonnia. Il disturbo del sonno è frequente causa di allucinazioni, nel contesto della trama questo ghost frame assume due motivazioni:
Simboleggia la creazione dell’alter-ego nella testa del protagonista (tesi accentuata dal fatto che questa ripresa è una soggettiva).
Si tratta di un indizio per lo spettatore: quando il personaggio di Brad Pitt verrà ripresentato nel corso del film, si comporterà come se fosse una persona fisica, agendo con diversi interpreti nel corso della storia e sviando lo spettatore dalla sua reale natura.
Quindi, questo inserimento funge anche da mettere una pulce nell’orecchio di chi sta visionando il film. Da notare la particolarità che nella stessa pellicola viene inserita una scena che funge proprio da spiegazione all’interpretazione dei ghost frame: quella del montaggio dell’inquadratura pornografica all’interno di un film per famiglie. Anche se viene rappresentata come una scena che vuole suscitare ironia, funge anche da veicolo per capire meglio il personaggio, nella quale viene inserita la chiave di lettura con cui il film dovrà essere visto.
A livello inconscio, lo spettatore ha intravisto un indizio (anche se per una frazione di secondo) con cui è stato introdotto uno dei personaggi principali, anche se il resto della storia cercherà di sviare lo spettatore portandolo a credere che si tratti di una persona in carne e ossa (come per il protagonista), la soluzione finale apparirà logica e, in un qualche modo, intuibile.
Di differente tipo, invece, è l’utilizzo che viene operato nel film Seven.
La particolarità del film è quella del mostrare i primi omicidi in modo crudo, senza eccezioni, ma gli ultimi vengono celati alla vista dello spettatore fino al climax finale: dove la testa decapitata della moglie del detective viene recapitata attraverso un pacco postale, ma non ci viene mai mostrata.
A livello di storia, l’effetto di infondere un senso di orrore nello spettatore è stato ampiamente raggiunto per i seguenti motivi:
Vedere la violenza dei primi tre omicidi è servita allo spettatore per poter “immaginare” da sé il risultato finale dei seguenti, grazie all’ausilio delle informazioni che i detective ricevono in merito alle modalità con cui sono stati compiuti.
Si è creata un’empatia per la moglie del detective nel momento in cui essa si apre con il collega del marito e gli espone i suoi dubbi e le sue paure in merito al figlio che sta portando in grembo. Questo momento in cui scopriamo la fragilità di un personaggio che non conoscevamo abbastanza, servirà a indirizzare le emozioni dello spettatore verso un punto prefissato: essere addolorati per la sua morte.
Il detective si trova di fronte all’assassino di sua moglie e viene a scoprire in quell’esatto momento che essa portava in grembo il loro figlio di cui perfino lui ignorava l’esistenza. Combattuto tra il senso del dovere e il desiderio di vendetta, il montaggio inserisce tre fotogrammi del volto della moglie nel momento in cui l’uomo distoglie lo sguardo.
Il detective rialza lo sguardo e compie la sua vendetta sull’assassino della donna. Questi tre frame sono quasi del tutto invisibili, quasi a simboleggiare il pensiero che colpisce improvvisamente il detective e che lo convince (quasi lo giustifica) della sua decisione finale.
Da notare in quale momento specifico sono stati inseriti all’interno del montaggio: quando l’uomo distoglie lo sguardo ed esattamente prima di uccidere l’assassino. In un momento dove il dolore del protagonista gli fa distogliere l’attenzione da un punto d’interesse e guarda un punto indefinito, dove i pensieri possono prendere il sopravvento e influire sulle decisioni che seguiranno.
Restando all’interno del subliminale, ci spostiamo verso l’importanza che ricopre il design dei titoli che accompagnano i film.
Sempre parlando di Fincher, è interessante notare lo stile che ricoprono le grafiche all’inizio del film Zodiac (2013).
Il film è un biopic che tenta di documentare le azioni compiute dal serial killer Zodiac, nell’America dei tardi anni Sessanta.
Durante le lezioni di montaggio, Davide Grampa ci ha illustrato diversi esempi su come le grafiche che accompagnano i titoli (e i loghi) hanno sempre più preso corpo nel divenire quello che possiamo chiamare il “biglietto da visita” del film. Con le loro caratteristiche che li contraddistinguono, la scelta del design e su come vengono presentati, gettano assieme alle immagini e ai suoni, il tono che caratterizzerà il film. Nell’esempio sopra citato, i caratteri delle scritte ricordano quelle delle macchine da scrivere dell’epoca che si dissolvono in degli strani simboli dal carattere esoterico.
Nel film (come nella realtà degli eventi), il serial killer era solito inviare a tre quotidiani di San Francisco delle lettere con dei caratteristici ideogrammi, come nella foto a fianco, chiedendogli di decifrarli per scoprire la sua reale identità.
Questa combinazione serve già a sintetizzare quello che sarà rappresentato nel corso del film: l’inchiesta di due giornalisti che cercano di scoprire la reale identità del serial killer, mentre documentano attraverso gli articoli di giornale i suoi crimini.
Degna di nota anche la rappresentazione dei loghi delle case di produzione all’inizio del film, che vengono riproposte con lo stile e la grana della pellicola, malgrado il film sia stato realizzato con camere digitali.
Il mio docente Edoardo Colombo, durante il corso di Analisi del film, ci ha spiegato che questa scelta di stile può dipendere dalle case di produzione coinvolte in modo che vengano percepite come una parte integrante dell’opera: lo spettatore viene subito proiettato in una dimensione che percepisce distante da quella attuale, e il cervello entra di conseguenza nello stile vintage che invade il film che sta per vedere.
Di conseguenza, le case di produzione non vengono viste come una semplice azienda che pensa a finanziare un progetto in attesa di un ricavo maggiore, ma come delle produzioni che si sono prese a cuore il progetto, cercando di valorizzarne il lato artistico e diventando indissolubilmente legate allo stile di esso, tanto da modificarne il proprio logo.
Anche la disposizione di dove vengono inseriti i titoli assume la sua importanza per dare dei segnali allo spettatore, come nei titoli di testa de Il Mucchio Selvaggio (1969).
Il film apre con l’inquadratura su dei soldati a cavallo, non possiamo ancora dire se si tratta dei protagonisti o meno. All’improvviso, il movimento si arresta in un fotogramma fisso, posterizzato e virato in seppia che rende i cavalieri delle figure oscure su cui compare il titolo “il mucchio selvaggio”, dandoci degli indizi importanti:
La sovrapposizione del titolo sul gruppo di cavalieri ci aiuta in questo momento a identificare i protagonisti dell’opera.
Il contrasto tra il significato del titolo e le divise dei tutori della legge crea nello spettatore un senso di destabilizzazione. Cioè, non tutto è come appare, accentuato anche dai due differenti stili che si alternano come le due facce della stessa medaglia.
Quest’ultimo punto è rafforzato nelle inquadrature successive, quando i cavalieri passano accanto a un gruppo di bambini seduti in cerchio e dall’aria innocente, per poi scoprire che stanno dando uno scorpione in pasto alle formiche.
L’indizio principale dato dal titolo di testa troverà la conferma definitiva nella scena dove i soldati entreranno nella banca e usciranno allo scoperto, attuando il loro intento di rapinarla.
Inoltre, lungo il corso della narrazione, questa scelta stilistica può racchiudere anche la caratterizzazione dei personaggi all’interno del film, giocato sui contrasti: presentati come un gruppo di fuorilegge sanguinari, scopriremo che in fondo sono degli antieroi che hanno nel profondo degli ideali e che sono in grado anche di provare delle emozioni.
Questo esempio è molto utile per capire come basare determinate decisioni da apportare all’interno dell’opera, creando un’insieme unito e coerente che definisce lo stile al quale il pubblico si aggrappa e che lo identifica.
CREDITI:
fotogrammi “Fight Club”, di David Fincher, 20th Century Fox, Recency Enterprise, Linson Films (1999)
fotogrammi “Seven”, di David Fincher, New Line Cinema (1995)
fotogrammi “Zodiac”, di David Fincher, Warner Bros. Pictures, Paramount Pictures, Phoenix Pictures (2007)
fotogrammi “Il Mucchio Selvaggio”, di Sam Peckinpah, Warner Bros., Seven Arts (1969)
Mi chiamo Etienne Del Biaggio, sono montatore, animatore autodidatta e compositore di colonne sonore originali con sede a Giubiasco (Ticino, Svizzera). Diplomato in montaggio e post-produzione video presso la CISA di Locarno (2019), ho collaborato con Béla Tarr per Alma di Dino Longo Sabanovic, presentato al Festival di Locarno. Dal 2022 al 2023 sono stato lead editor di Fiumi Studios, curando documentari e corporate video per clienti come Siemens ed EOC Ticino.
Accanto al montaggio e alla musica, ho sviluppato competenze in grafica e animazione, realizzando diversi cortometraggi animati. Oltre alle passioni già citate, mi piace condividere le mie personali riflessioni sul montaggio cinematografico scrivendo sul mio blog "The Soul Cut", sperando di poter ispirare altre persone a interessarsi sull'argomento.