The Soul Cut #06
di Etienne Delbiaggio | 08 ottobre 2025
Sin dall’inizio del mio percorso formativo presso il CISA, mi è stato insegnato (rispettivamente dai docenti di fotografia Giacomo Devecchi e Riccardo Brunner) a rispettare determinati schemi che aiutano lo spettatore a seguire una continuità e che non venga distratto inutilmente dal proseguimento della storia.
Una delle prime regole fondamentali è stata quella del rispettare l’asse degli sguardi che si presenta come nell’esempio qui a lato.
Sovvertire con un senso
Gli sguardi sono l’elemento che determina l’asse da rispettare, perché solitamente sono i nostri occhi che volgiamo verso il punto e/o la persona che suscita il nostro interesse. Il rispetto di quest’asse serve a rendere un montato di campo contro campo fluido e che risulti naturale.
Durante le lezioni con Devecchi al primo anno, ci è stato mostrato come l’asse possa variare la propria traiettoria in base al cambio della direzione degli sguardi, di conseguenza, creare nuove opportunità di raccordi e movimenti.
L’uomo alla scrivania si alza, invade il campo dell’inquadratura dove è presente l’interlocutore e ritorna con un cappotto tra le mani. Ma questa volta, al posto di ritornare seduto dietro alla scrivania, si ferma tra essa e l’altro personaggio. Si è venuto a creare un nuovo asse, visto che le posizioni di partenza sono state mutate dagli spostamenti e i punti di arrivo dei personaggi.
A volte, però, ci troviamo di fronte a delle opere che contengono degli elementi di rottura degli schemi che ci vengono normalmente mostrati, al fine di amplificare l’emozione o il concetto in esse espressi. Prendiamo come esempio lo scavalcamento di campo:
Come si può notare, nelle prime tre inquadrature c’è un’asse che viene rispettato per creare una continuità classica per il campo contro campo. Le successive quattro inquadrature sono assenti da tagli e seguiamo il ragazzo sedersi su una sedia, mentre il corpo dell’anziano impalla l’inquadratura e nasconde il taglio che ci porta dall’altra parte dell’asse.
Sono due gli elementi che rendono riuscito e accettabile il raccordo all’occhio umano: il primo è dato dall’impallamento (tecnica sperimentata da Alfred Hitchcock in Nodo alla gola per dare l’illusione che il film fosse un unico piano sequenza) della camera da parte dell’attore il quale “nasconde” il taglio e collega i due spazi dalla continuità dell’azione. Questo è un elemento che dimostra come la tecnica permetta di rendere fluido una funzione che noi non saremmo in grado di compiere, cioè di ritrovarci in un battito d’occhi in un’altra posizione.
L’esempio che segue è un rimaneggiamento della sequenza di inquadrature precedentemente mostrata:
Supponiamo di stare montando il film in questione e di avere tra le mani le esatte inquadrature senza ulteriori possibilità di attingere da altre per trovare una differente soluzione per raccordarle.
Si può notare come l’ultima inquadratura stoni con la sequenza che la precede. Uno dei lavori che si può compiere riguarda l’audio: la voce dell’anziano potrebbe continuare anche sull’ultima inquadratura dove non deve per forza essere mostrato, concentrandoci sulle reazioni di chi lo sta ascoltando (in questo caso il ragazzo seduto) e creare un raccordo sonoro che viene denominato L cut (dato dal fatto di far continuare l’audio dell’inquadratura precedente in quella successiva).
Questa è una possibile soluzione tecnica che aiuterebbe a rendere lo stacco meno duro e improvviso, ma se ci concentriamo principalmente sulla tecnica, allora abbiamo dimenticato un elemento essenziale che avevamo discusso precedentemente e che si presenta come il secondo elemento che rende accettabile lo scavalcamento di campo: l’emozione.
Nella “regola del sei” di Murch, l’emozione è al primo posto, la storia al secondo e quello che segue è la tecnica.
Ponendoci come obiettivo primario quello di scatenare una reazione nello spettatore, diamo un’occhiata al secondo punto della lista: che storia ci sta raccontando il film e che cosa ci vuole raccontare questa scena?
Il film narra la storia di un brillante studente delle medie che è ossessionato dall’olocausto. Tramite delle ricerche private, scopre che un ufficiale nazista è ancora vivo e abita sotto falso nome in una casa non molto lontana da lui. Lo studente ricatta l’anziano per sentire direttamente da lui tutti i macabri dettagli sul suo passato, in cambio del silenzio sulla sua reale identità. Ben presto, gli incubi e le immagini dell’orrore perpetrato dal nazismo perseguitano il ragazzo, incidendo sul suo andamento scolastico. In questo momento si arriva al confronto in cui le due posizioni si invertono: da vittima di un ricatto, l’anziano diventa ricattatore a sua volta, minacciando il ragazzo di migliorare i suoi voti o correrà anche lui il rischio di finire in una possibile inchiesta per non aver denunciato un criminale di guerra quando ne aveva fatto la scoperta.
L’inversione di ruolo per quanto riguarda il personaggio che stava al potere è già enfatizzato a livello di trama, accentuato dalla regia (da notare la composizione delle inquadrature, dove man mano che il ragazzo perde il potere sull’anziano si mette a sedere, mettendosi in posizione di sconforto e inferiorità) e dal montaggio che mette la tecnica al servizio dell’emozione che viene amplificata da un gioco di squadra per un obiettivo comune, rendendo il raccordo accettato dallo spettatore che (a livello conscio oppure inconscio) giustificherà la scelta come una sottolineatura dell’inversione delle posizioni e sul senso di frustrazione provato dal ragazzo nel non essere più in una posizione di potere.
Un altro elemento che il montaggio può sovvertire a suo piacimento è il tempo e lo spazio.
Un esempio classico può essere il montaggio parallelo utilizzato in Un uomo da marciapiede di John Schlesinger (1926-2003), il quale alterna il viaggio del protagonista ai suoi ricordi d’infanzia, rivelando degli indizi sulla sua futura decisione di diventare un gigolò.
La visione di un personaggio adulto e il suo equivalente da bambino viene accettata dal cervello umano perché innesca il meccanismo del ricordo, accentuato dalla lunga dissolvenza che inizia a essere visibile sul cappello del personaggio (vedi sopra) collegandola alla testa, di conseguenza, associandola ai ricordi.
Un montaggio che invece può destabilizzare la concezione del tempo è all’interno di A Venezia... un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg (1928-2018). Utilizzando il montaggio parallelo per alternare la scena dell’amplesso con la futura preparazione della coppia per l’uscita serale nella città italiana, combina due azioni e spazi che normalmente non potrebbero coesistere, trattandosi delle stesse persone ma in differenti momenti a distanza di poche ore.
Questa sovversione del naturale corso degli eventi ha una grande funzione di attirare l’attenzione dello spettatore, cogliendolo alla sprovvista ma che esercita una libertà artistica che rispecchia la visione dell’autore.
Le azioni trovano una corrispondenza nei due diversi spazi temporali, come le mani dell’uomo che cingono i fianchi della compagna con le mani di quest’ultima che mettono apposto il vestito, o l’identica posizione in cui si trova la donna nei due ultimi fotogrammi mostrati qui sopra. Questi elementi aiutano lo spettatore a seguire una certa logica sull’evoluzione della scena perché creano un collegamento con le azioni, e un conseguente desiderio (o tensione): quello di vedere il punto di arrivo di tutte queste azioni che si compie con l’uscita nella città di sera (il rilascio).
Inoltre, questa operazione funge da sintesi dell’arco temporale, svincolando dalla reale durata dell’azione e mettendo lo spettatore in un’ottica globale, dalla quale le due scene unite assumono una dinamica e un’impatto emotivo superiore che prese singolarmente.
CREDITI:
fotogrammi “A proposito di Davis”, di Joel ed Ethan Coen, StudioCanal, Anton Capital Entertainment, Mike Zoss Productions, Scott Rudin Productions (2013)
fotogrammi “L’allievo”, di Bryan Singer, TriStar Pictures, Phoenix Pictures, Bad Hat Harry Productions (1998)
fotogrammi “Un uomo da marciapiede”, di John Schlesinger, Jerome Hellman Productions (1969)
fotogrammi “A Venezia… un dicembre rosso shocking”, di Nicolas Roeg, British Lion Films, Casey Productions, Eldorado Films(1973)
Mi chiamo Etienne Del Biaggio, sono montatore, animatore autodidatta e compositore di colonne sonore originali con sede a Giubiasco (Ticino, Svizzera). Diplomato in montaggio e post-produzione video presso la CISA di Locarno (2019), ho collaborato con Béla Tarr per Alma di Dino Longo Sabanovic, presentato al Festival di Locarno. Dal 2022 al 2023 sono stato lead editor di Fiumi Studios, curando documentari e corporate video per clienti come Siemens ed EOC Ticino.
Accanto al montaggio e alla musica, ho sviluppato competenze in grafica e animazione, realizzando diversi cortometraggi animati. Oltre alle passioni già citate, mi piace condividere le mie personali riflessioni sul montaggio cinematografico scrivendo sul mio blog "The Soul Cut", sperando di poter ispirare altre persone a interessarsi sull'argomento.