The Soul Cut #05
di Etienne Delbiaggio | 01 ottobre 2025
Walter Murch asserisce che il montaggio che funziona al meglio non è quello che si nota, ma quello che esalta l’emozione del film e non lascia ricordi indelebili delle tecniche utilizzate in esso dopo la visione.
Ma ci sono tipologie di montaggio che, al contrario, sono volutamente “visibili” per accentuare il carattere della scena in questione e il suo significato. Sembrerà un controsenso rispetto a quello che è stato detto all’inizio, ma Murch ci riporta alla memoria la domanda essenziale: Che cosa vogliamo far provare al pubblico?
Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (1898-1948), considerato uno dei più grandi teorici e pionieri del montaggio, ha sviluppato il concetto del montaggio delle attrazioni: il cinema e il teatro devono essere forme di violenza e scuotere lo spettatore, facendogli sentire le emozioni che gli passano davanti agli occhi.
Attuandolo nella sua opera La corazzata Potëmkin (1925), il concetto si è esteso nel corso degli anni fino al cinema classico. Un esempio lo possiamo ritrovare nella famosa sequenza della doccia del film Psycho di Alfred Hitchcock (1899-1980):
Il montaggio visibile
La suspense viene costruita tra un connubio di narrazione, regia, montaggio e sonoro per lavorare sulla psiche dello spettatore:
A. Narrazione: la protagonista ha da poco deciso di redimersi dalle sue colpe. Apparendo come un personaggio positivo per il pubblico, il quale non si aspetta l’imminente fine alla quale sta per andare incontro. Inoltre, la scena è ambientata all’interno di una doccia: un luogo dove ci troviamo a contatto con la nostra intimità e dalla quale ci sono poche vie di fuga o angoli dove nascondersi.
B. Regia: la camera è assieme alla protagonista, nuda e sotto la doccia. Questo aiuta lo spettatore a immedesimarsi con il personaggio. La composizione della prima inquadratura lascia libero buona parte del primo terzo, suscitando un’inconscia curiosità sullo spazio che verrà riempito dalla porta del bagno che sarà successivamente aperta dall’assassino. Man mano che la figura avanza, la camera effettua una carrellata in avanti, direzionando totalmente l’attenzione dello spettatore su di essa.
C. Montaggio: a eccezione dei primi stacchi che mostrano la protagonista azionare la doccia e iniziare a lavarsi, l’arrivo dell’assassino non presenta tagli di montaggio fino a quando non scosta la tendina e rivela la propria silhouette. Questa scelta crea la suspense nello spettatore: noi siamo nella doccia con la donna, ma al contrario di lei, noi vediamo che sta arrivando qualcuno mentre lei ne è totalmente ignara. Lo stacco che segue lo scostamento della tendina ci mostra la protagonista prendere coscienza della figura estranea, e l’orrore viene accentuato dai raccordi sull’asse che arrivano al dettaglio sulla sua bocca.
D. Sonoro: il sonoro si limita a far sentire allo spettatore i suoni naturali dell’ambiente. Anche quando la figura fa la sua apparizione nella stanza, il suono continua senza variazioni come il montaggio senza stacchi, lasciando interpretare allo spettatore quello che sta accadendo. Allo scostamento della tenda e alla successiva presa di coscienza della protagonista dell’intruso, parte la musica composta da Bernard Hermann (1911-1975), accompagnata dai suoni delle pugnalate e le grida della vittima.
L’attrazione parte dall’immedesimazione del pubblico verso la protagonista: un personaggio che ha commesso un furto, ma senza malizia e con la successiva voglia di rimediare. Successivamente, far interagire lo spettatore con il film, rendendolo attivo, con il desiderio di avvertire la donna dell’imminente pericolo.
La creazione di questa attrazione sarà fondamentale anche per la sequenza delle inquadrature che seguono.
Come possiamo notare, malgrado si tratti di una sequenza violenta, soltanto in un’inquadratura vediamo la protagonista venire letteralmente a contatto con la lama del coltello.
La suspense che è stata creata all’inizio è bastata per immedesimare lo spettatore nell’azione, mentre il ritmo frenetico del montaggio (accompagnato dalla musica) crea una percezione violenta che Ėjzenštejn chiama cine-pugno : la durata minima delle inquadrature, tra le quali ci sono anche delle sequenze mai totalmente a fuoco, creano il dinamismo che basta allo spettatore (assieme alla costruzione della scena) per interpretare la ferocia dell’assassinio che si sta compiendo davanti ai loro occhi. Un altro esempio lo si può ritrovare nella sparatoria iniziale del film Il mucchio selvaggio (1969) di Sam Peckinpah (1925-1984).
In questa scena possiamo trovare gli stessi elementi che hanno caratterizzato la scena della doccia, ma con l’aggiunta di un elemento straniante: se in Psycho stiamo assistendo a una successione di azioni coerenti, Peckinpah dilata alcune inquadrature e le decontestualizza dalla normale successione di eventi che esse avrebbero nella vita reale.
Come nell’esempio sopra mostrato, un uomo viene colpito a morte e cade dal tetto del palazzo. La caduta ci viene mostrata al rallentatore, in contrasto con le altre azioni che ci vengono mostrate con il loro tempo naturale, per terminare la sua azione molto tempo dopo quello che rispecchierebbe effettivamente nella vita reale.
Peckinpah aveva sviluppato un proprio pensiero al riguardo del rappresentare la violenza nei film: il concetto della catarsi, cioè, far sfogare la violenza repressa del pubblico facendogli visionare immagini forti e violente.
In aggiunta alla violenta sparatoria che si sta svolgendo, Peckinpah dilata il corso del tempo reale della morte, rendendola più lunga e innaturale con l’utilizzo del rallentatore che si giustifica (essendo un’operazione non possibile in natura) nella possibilità di essere accettata agli occhi dello spettatore sotto forma di licenza artistica.
Detto questo, la dimostrazione che due stili differenti (ma che partono da un’aspettativa comune) possono dare due differenti tipi di emozioni: quella cruda e spietata di Hitchock, in cui l’omicidio viene perpetrato con delle modalità in contrapposizione alle licenze che Peckinpah si avvale per scandire nuovi ritmi e imposizioni impossibili in natura.
A proposito di stili differenti, diamo un’occhiata al remake di Psycho (1998) di Gus Van Sant:
Tralasciando alcune correzioni (l’aggiunta del colore, l’ammontare della somma rubata, etc, etc, ....) per rendere il film più affine allo spettatore contemporaneo, il regista cerca di rimanere il più fedele possibile al pensiero originario di Hitchcock, andando a inserire delle innovazioni che ai tempi del film originale non sarebbero state possibili: un esempio lo possiamo vedere nella pagina precedente, che al posto dei raccordi che portano al dettaglio sulla bocca della donna, Van Sant utilizza uno zoom in avanti.
Ma attenendoci alla scena della doccia, ci rendiamo conto che malgrado lo sforzo di restare fedeli all’opera originale, le inquadrature che dovrebbero combaciare si sfalsano irrimediabilmente di posizione.
Quando la vittima si volta e vede per la prima volta l’assassino, al contrario del film di Hitchcock, Van Sant indugia ancora sui tempi tra la sorpresa della vittima e l’attesa dell’assassino prima di far iniziare l’azione. La ripetizione può essere utile per rafforzare o esprimere un concetto, come quando si parla con qualcuno e si ripete una sentenza due volte per rimarcare la propria opinione. Nel caso del remake, accrescere ulteriormente lo stupore della vittima trovatasi di fronte all’arrivo inaspettato del suo assassino.
Un esempio analogo si trova nel film Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese, dove il protagonista è un personaggio schizofrenico. Per rafforzare il concetto del progressivo deterioramento della sua psiche, in una scena viene fatta ripetere una sua semplice azione durante un delirante monologo interiore, creando nello spettatore la sensazione di qualcosa di sbagliato, che la nostra mente non può replicare.
Un altro elemento che salta subito all’occhio è l’inserimento di immagini di nuvole che si intercalano parallelamente alla scena della doccia, un segno distintivo del regista che si può ritrovare in altre sue opere come Belli e Dannati del 1991.
Conscio del fatto che l’esperimento di riprodurre il film fedelmente non poteva funzionare, Van Sant ha inserito il suo stile all’interno dell’opera, portando un significativo cambiamento all’intento originale.
Questo ci fa capire quanto sia importante dialogare con il/la regista e capire la sua personale visione che vuole dell’opera, perché ogni persona ha un’intenzione differente dall’altra, con emozioni e propositi non replicabili. Il regista si affida al montatore perché il montatore è dalla parte del pubblico e funge da tramite tra quello che vuole dire il regista e quello che deve arrivare allo spettatore.
Una volta terminata la sessione di riprese e iniziata la post-produzione, bisogna mettere i due pesi sulla bilancia e tirare le somme: il materiale girato regge il peso dell’intenzione del regista?
Se le due cose riescono a coesistere, si può procedere nella direzione originale. Ma quando l’ago della bilancia pende verso una differente direzione, nella mia personale opinione, il materiale detta legge: perché possono nascere nuove idee e forme coerenti con il materiale che abbiamo in mano, al contrario di distorcerlo a piacimento di un ideale che non si insinua naturalmente in esso. Tutto questo, ovviamente, dipende da caso a caso dato dal fatto che le casistiche possono essere innumerevoli e imprevedibili.
CREDITI:
fotogrammi “Psycho”, di Alfred Hitchcock, Shamley Productions, Paramount Pictures (1960)
fotogrammi “Psycho”, di Gus Van Sant, Imagine Entertainment, Universal Pictures (1998)
fotogrammi “Il Mucchio Selvaggio”, di Sam Peckinpah, Warner Bros.-Seven Arts (1969)
fotogrammi “Taxi Driver”, di Martin Scorsese, Columbia Pictures (1976)
Mi chiamo Etienne Del Biaggio, sono montatore, animatore autodidatta e compositore di colonne sonore originali con sede a Giubiasco (Ticino, Svizzera). Diplomato in montaggio e post-produzione video presso la CISA di Locarno (2019), ho collaborato con Béla Tarr per Alma di Dino Longo Sabanovic, presentato al Festival di Locarno. Dal 2022 al 2023 sono stato lead editor di Fiumi Studios, curando documentari e corporate video per clienti come Siemens ed EOC Ticino.
Accanto al montaggio e alla musica, ho sviluppato competenze in grafica e animazione, realizzando diversi cortometraggi animati. Oltre alle passioni già citate, mi piace condividere le mie personali riflessioni sul montaggio cinematografico scrivendo sul mio blog "The Soul Cut", sperando di poter ispirare altre persone a interessarsi sull'argomento.