The Soul Cut #04

di Etienne Delbiaggio | 19 settembre 2025

Durante il mio terzo anno alla scuola di cinema CISA (era l’ormai lontano 2019), mi ricordo che stavo avendo una conversazione informale con la mia docente di montaggio. Secondo la sua opinione, l’emozione del montaggio stava racchiusa principalmente nel ritmo. Chiedendogli di spiegarmi che cosa intendesse esattamente, mi ha risposto che non interpretava il ritmo in un senso prettamente schematico, ma come un’armonia: la quale, può subire variazioni e determinare in un qualche modo le sensazioni (o emozioni) che trascinano lo spettatore.

Trovai curioso il fatto che abbia utilizzato la parola “armonia”, perché nella mia ottica personale vedo il ritmo come il concetto di tensione e rilascio, ovvero: che cosa tenere e cosa sacrificare, oppure, quanto tenere e quando rilasciare.
Questo specifico modo di vedere il ritmo sta alla base della teoria musicale, il quale, denota come determinati accordi (solitamente denominati sus o sospesi) o degli accostamenti di alcuni accordi “classici” creano una sensazione di tensione, mentre altri donano un senso di risoluzione alla tensione che si è venuta a creare. Questa sensazione non risiede in un elemento specifico, ma dipende dagli accostamenti che vengono a crearsi tra gli accordi, le ripetizioni, le variazioni di tono o di tonalità che (grazie alle proprietà che ciascun accordo possiede al suo interno) determinano un flusso di tensione e risoluzione.


Il ritmo

Come nella musica, anche nel cinema ogni scena ha una sua tensione e rilascio. Non solamente nei momenti di suspense, ma anche nelle aspettative o nel creare un dinamismo all’interno dell’opera. Ogni inquadratura è un accordo a sé stante, la quale posso decidere di accostarla a un’altra, creando una tensione e il suo rilascio, determinando cosa tenere o sacrificare dell’azione.

Come ho detto in precedenza, ogni film ha una propria anima, una personalità (o stile) che lo differenzia da qualsiasi altro prodotto, anche se affine o che rientra nella stessa categoria di genere.
Basti pensare come Shining (1980) di Stanley Kubrick (1928-1999) si differenzia da tutti gli altri tipi di film horror, soprattutto per quanto riguarda la questione del ritmo che fa sentire allo spettatore la lenta discesa nella follia del personaggio di Jack Torrance, in contrasto con gli odierni jump scare. Interessante notare come questa discesa viene accentuata anche dal lato del montaggio: attraverso l’uso di lunghe dissolvenze e dal tenere in camera i cambi di espressione degli attori.

La decisione di lasciar evolvere normalmente i cambi di stato d’animo dei personaggi li rendono più credibili, specialmente in un caso come nella scena riproposta qui sopra, dove ci troviamo davanti a un avvenimento perturbante: la scoperta di un estranea all’interno dell’hotel che dovrebbe ospitare solamente la famiglia Torrance. Nel tempo dello stacco abbiamo perso una minima porzione dell’evoluzione dell’espressione, ma lo spettatore ha già ricevuto gli elementi che gli servono per “intuire” quello che succede nell’arco di tempo in cui la camera ha staccato dal volto del protagonista. Il ritorno sul volto evidenzia ancora di più il suo desiderio verso la donna in questione, oltre a mantenere una coerenza nei tempi dell’azione.

Questa operazione non solo esalta le caratteristiche dell’attore, ma segue un determinato tipo di narrazione che cerca di risultare il più naturale possibile.
La tensione cresce a livello esponenziale perché il personaggio non sta avendo le stesse reazioni che normalmente si avrebbero nel trovarsi davanti a un’estranea che non dovrebbe essere all’interno di un hotel chiuso per le ferie, in aggiunta al fatto di essere la maggior sospettata per i lividi causati sul collo del figlio.
La scena prosegue con un ritmo lento in un’inquadratura totale fissa, relegando lo spettatore alla semplice funzione di osservatore inerme, fino al rilascio che avviene quando la sensazione che qualcosa non funziona arriva alla sua rivelazione con gli stacchi.

Ma il film in questione ha un suo stile preciso, che cerca di rendere credibile l’impossibile. Per raggiungere questo fine, si è optato per un montaggio il più fedele alla realtà, sacrificando il meno possibile. Ma ci sono dei film che invece sacrificano la coerenza per un effetto più immediato.

Durante una partita a poker, uno dei protagonisti lancia una provocazione a uno degli avversari di origine indiana. Possiamo vedere che nel fotogramma dove il personaggio offeso si leva gli occhiali da sole ha la testa girata in una posizione, ma quando ritorniamo sul suo primo piano, ha già il volto girato verso il protagonista. Una scelta che può essere stata determinata anche da necessità estreme per quanto riguarda il materiale, ma resta il fatto che il ritmo è coerente. Hell or High Water è di base un film drammatico con dei forti richiami al cinema d’azione, quindi, in una scena in cui si cerca di creare una tensione tramite dei ritmi serrati con dei campi contro campi si può sacrificare la coerenza dell’azione a favore dell’emozione.

Nei capitoli precedenti abbiamo capito che il montaggio è un’operazione che sappiamo fare inconsciamente, ma sbattendo le palpebre e riaprendole non ci ritroviamo in posizioni fisiche differenti senza muovere un passo: ruotiamo la testa ma il punto di vista è nella stessa posizione. Com’è possibile rendere credibili questi spostamenti repentini allo spettatore?

Perché questi stacchi richiamano il procedimento mentale dell’attenzione. Gli stacchi e la scelta delle inquadrature con le loro caratteristiche interne equivalgono alla mano del regista che prende quella dello spettatore e lo indirizza verso i particolari che lo portano a uno stato emotivo che si è cercato di creare.

Sopratutto nelle fiction, gli spettatori non pretendono di vedere una rappresentazione della realtà, ma esigono comunque di credere a quello che stanno vedendo. È quindi importante capire che quando si opera di dettagli e stacchi, si sta portando l’attenzione dello spettatore verso una determinata emozione dal quale non possono avere la possibilità di sottrarsi. Mentre se si opera di totali o inquadrature larghe, si sta lasciando la libertà di scegliere su che cosa concentrare la propria attenzione.
Un altro aspetto è dato dal fatto che se ci troviamo a operare un raccordo che non presenta una correlazione nella realtà, il regista sta operando una sua scelta artistica che lo spettatore cercherà di accettare (come verrà mostrato nei capitoli successivi).

La scelta di lasciare lo sfogo del protagonista in totale è servita sia per non interrompere “inutilmente” la sua reazione (grazie all’interpretazione credibile dell’attore), sia per risolvere il problema della mancanza di materiale sufficiente a far sentire la presenza del divisorio tra i due giardini, trattandosi di un elemento chiave per l’intera vicenda.

Come nella musica, non ho personalmente uno strumento di misura preciso per interpretare il ritmo, ma osservo il girato e comincio a sentire la direzione che esso deve prendere dopo aver montato una prima stesura. Bisogna provare fino a quando non si avverte che quello che abbiamo montato risulti credibile.

CREDITI:

  • Foto di Walter Murch - Walter Murch working on Tetro in Buenos Aires (Beatrice Murch via Wikipedia)

  • fotogrammi “Possession”, di Andrzej Żuławski, Gaumont (1981)

  • citazioni estratte dal libro “In un Batter D’occhi”, di Walter Murch, pubblicato da Silman-James Press.

Mi chiamo Etienne Del Biaggio, sono montatore, animatore autodidatta e compositore di colonne sonore originali con sede a Giubiasco (Ticino, Svizzera). Diplomato in montaggio e post-produzione video presso la CISA di Locarno (2019), ho collaborato con Béla Tarr per Alma di Dino Longo Sabanovic, presentato al Festival di Locarno. Dal 2022 al 2023 sono stato lead editor di Fiumi Studios, curando documentari e corporate video per clienti come Siemens ed EOC Ticino.

Accanto al montaggio e alla musica, ho sviluppato competenze in grafica e animazione, realizzando diversi cortometraggi animati. Oltre alle passioni già citate, mi piace condividere le mie personali riflessioni sul montaggio cinematografico scrivendo sul mio blog "The Soul Cut", sperando di poter ispirare altre persone a interessarsi sull'argomento.