The Soul Cut #09
di Etienne Delbiaggio | 28 ottobre 2025
Nel linguaggio del cinema, la dissolvenza rappresenta una delle forme più poetiche e ambigue del montaggio. Infatti, spesso viene spesso associata al passaggio del tempo tra una situazione e l’altra.
Personalmente, tendo a evitare questa scelta specifica il più possibile, prediligendo uno stacco netto e lasciando interpretare l’ellissi temporale allo spettatore, rendendolo più attivo o dandogli degli indizi se si dispone del materiale adatto al caso.
Nella mia visione personale una dissolvenza non si limita a collegare due immagini, ma le fonde, creandone una terza che rafforza una simbologia tra le due: è il momento in cui il cinema smette di mostrare e comincia a suggerire, dove il tempo non scorre più in linea retta ma si espande e si dilata.
Nel corso della storia, registi e montatori hanno utilizzato la dissolvenza come strumento espressivo, capace di dare forma a stati interiori, memorie, o passaggi tra dimensioni narrative e psicologiche. Il caso (forse) più famoso è la sequenza d’apertura del film di Francis Ford Coppola Apocalypse Now del 1979.
Dissolvenze
Le palme in fiamme della giungla vietnamita si dissolvono lentamente nel volto del Capitano Willard, steso nel suo letto d’albergo. In questo passaggio, la guerra e la mente diventano un’unica immagine: il fumo degli elicotteri diventa il fumo della sigaretta, il rumore delle pale si confonde con quello del ventilatore a soffitto. La dissolvenza qui non funge da ponte temporale ma da cortocircuito sensoriale: ci trasporta nella mente turbata del protagonista, in un limbo in cui presente e passato si fondono in un incubo lucido.
È un modo per rendere visibile la psicologia del trauma: non come narrazione, ma come esperienza visiva che avvolge lo spettatore e introduce il mood che ci accompagnerà lungo il corso del film.
In Decision to Leave, Park Chan-wook utilizza la dissolvenza come strumento di connessione emotiva.
Il detective e la sospettata vivono una relazione fatta di sospetti, inseguimenti e desideri; la dissolvenze incrociate nell’atto finale, tra spazi e tempi diversi, diventano il linguaggio invisibile del desiderio. Quando l’immagine del detective si dissolve in quella della mano della donna durante la rivelazione, mentre cerca in un ultimo disperato tentativo di ritrovarla, lo spettatore percepisce la manipolazione e l’influenza che quest’ultima ha esercitato lungo tutto il film verso il protagonista, rendendolo una sorta di marionetta nelle sue mani.
La dissolvenza perde la sua funzione tecnica e diventa una grammatica del sentimento e della rivelazione: l’immagine scioglie il confine tra realtà e immaginazione.
Con Il ritorno di Harry Collings, Peter Fonda porta la dissolvenza nel territorio della meditazione visiva.
Girato da un autore e figlio della controcultura americana, il film fonde l’estetica del western con un ritmo contemplativo e spirituale. La sequenza mostra in apertura i tre cowboy protagonisti intenti a fare un bagno all’interno di un fiume bagnato dai raggi del sole. In sovrapposizione alla totale che ci illustra questa scena, appaiono dei close-up degli stessi personaggi intenti nelle stesse azioni che vediamo nell’inquadratura principale. La scelta di aprire il film con questa sequenza e senza l’inserimento dei titoli di testa, fa pensare al desiderio (molto comune all’interno della New Hollywood degli anni settanta) di voler rompere gli schemi convenzionali e immergere lo spettatore non in un classico film di genere, ma in un’opera a sé stante, con il suo messaggio e i suoi ritmi.
Fonda e il montatore Frank Mazzola scelgono di prolungare le transizioni fino al punto in cui le immagini si sovrappongono come visioni, evocando la fragilità della vita errante e la malinconia della distanza. È un cinema che non corre verso il futuro, ma si consuma lentamente nel presente, richiamando quasi lo stile e il pensiero di quadro impressionista impresso su pellicola.
Nel film di Russell Mulcahy, la dissolvenza è un atto di trasformazione mitologica.
Le transizioni tra epoche — dalla Scozia del XVI secolo alla New York contemporanea — non avvengono tramite tagli netti, ma attraverso fusioni visive che suggeriscono la continuità del tempo e gli inevitabili cambiamenti.
Come nell’esempio qui sotto riprodotto: il protagonista Connor MacLeod, dopo aver appreso di essere un immortale ed esser stato esiliato dal proprio villaggio, si siede in agonia contro una roccia. Lentamente, il graffito raffigurante la Gioconda collocato ai giorni nostri, non solo crea un parallelismo riguardante il protagonista e l’opera di Leonardo Da Vinci e il loro aver attraversato le varie epoche, ma anche del degrado che essi hanno subito a causa proprio dell’esser sopravvissuti a esso: la Gioconda è diventata più un elemento commercialmente estetico piuttosto che artistico e Connor ha perso nel tempo la qualità che ci rende prettamente umani: l’amore e la fiducia nel prossimo.
Mulcahy, proveniente dal mondo dei videoclip musicali, utilizza la dissolvenza come strumento di energia visiva, ma anche come dichiarazione poetica: il passato non muore, si reincarna.
La transizione non indica un salto, ma una rinascita dell’immagine, un ciclo eterno di vita e memoria che definisce la natura stessa dell’immortalità nel film e il decadimento dettato dal tempo.
In Psycho, Alfred Hitchcock opera con una precisione quasi chirurgica.
Dopo la scena della doccia, la dissolvenza che unisce il sangue che scorre nello scarico e l’occhio immobile di Janet Leigh è una delle più celebri della storia del cinema. Non è un semplice passaggio visivo, ma una metamorfosi simbolica: il vortice dell’oblio che rimanda al passaggio della vita alla morte, cercando di narrare l’ultimo attimo di vita della protagonista su pellicola, ritornando sul suo corpo esanime appena la dissolvenza finisce.
Come anche la sequenza finale, dove Norman Bates viene di nuovo posseduto dalla personalità della madre e lo rivela solamente a noi spettatori tramite una triplice dissolvenza che passa dal suo volto esterno (Norman), a quello interno (lo scheletro della madre, l’orrore) e alla macchina contente il cadavere della sua vittima che viene trainata fuori dallo stagno (i misfatti e le colpe che queste due personalità hanno e possono commettere nuovamente nel futuro).
In un singolo gesto, Hitchcock racchiude l’orrore e la perdita, la morte e le gesta.
La dissolvenza non attenua la violenza, ma la sublima, permettendo allo spettatore di interiorizzare il trauma senza mostrarlo apertamente. È il momento in cui il cinema dimostra la sua potenza massima: evocare ciò che non si può vedere.
Dalle visioni infernali di Apocalypse Now alla grazia sospesa di Decision to Leave, dalle contemplazioni crepuscolari di Il ritorno di Harry Collings alle metamorfosi epiche di Highlander, fino alla precisione psicologica di Psycho, la dissolvenza si rivela come un atto poetico prima ancora che tecnico.
È il punto in cui il montaggio smette di tagliare e comincia a unire. Dove la narrazione si sospende e il tempo si espande. In quel momento, il cinema non racconta solo una storia: la sogna.
CREDITI:
fotogrammi “Apocalypse Now”, regia di Francis Ford Coppola, Zoetrope Studios, United Artists (1979)
fotogrammi “Decision to Leave”, regia di Park Chan-wook, CJ Entertainment, Moho Film (2022)
fotogrammi “Il ritorno di Harry Collings”, regia di Peter Fonda, Universal Pictures (1971)
fotogrammi “Highlander”, regia di Russell Mulcahy, Thorn EMI Screen Entertainment, 20th Century Fox (1986)
fotogrammi “Psycho”, regia di Alfred Hitchcock, Shamley Productions, Paramount Pictures (1960)
Mi chiamo Etienne Del Biaggio, sono montatore, animatore autodidatta e compositore di colonne sonore originali con sede a Giubiasco (Ticino, Svizzera). Diplomato in montaggio e post-produzione video presso la CISA di Locarno (2019), ho collaborato con Béla Tarr per Alma di Dino Longo Sabanovic, presentato al Festival di Locarno. Dal 2022 al 2023 sono stato lead editor di Fiumi Studios, curando documentari e corporate video per clienti come Siemens ed EOC Ticino.
Accanto al montaggio e alla musica, ho sviluppato competenze in grafica e animazione, realizzando diversi cortometraggi animati. Oltre alle passioni già citate, mi piace condividere le mie personali riflessioni sul montaggio cinematografico scrivendo sul mio blog "The Soul Cut", sperando di poter ispirare altre persone a interessarsi sull'argomento.