The Soul Cut #04

di Etienne Delbiaggio | 19 settembre 2025

Durante il mio terzo anno alla scuola di cinema CISA (era l’ormai lontano 2019), mi ricordo che stavo avendo una conversazione informale con la mia docente di montaggio. Secondo la sua opinione, l’emozione del montaggio stava racchiusa principalmente nel ritmo. Chiedendogli di spiegarmi che cosa intendesse esattamente, mi ha risposto che non interpretava il ritmo in un senso prettamente schematico, ma come un’armonia: la quale può subire variazioni e determinare in un qualche modo le sensazioni (o emozioni) che trascinano lo spettatore.

abbia utilizzato la parola “armonia”, perché nella mia ottica personale vedo il ritmo come il concetto di tensione e rilascio, ovvero: che cosa tenere e cosa sacrificare, oppure, quanto tenere e quando rilasciare.
Il concetto della tensione e del rilascio sta alla base della teoria musicale, il quale denota come determinati accordi (solitamente denominati sus o sospesi) o degli accostamenti di alcuni accordi “classici” creano una sensazione di tensione, mentre altri donano un senso di risoluzione alla tensione che si è venuta a creare. Questo tipo di sensazione non risiede in un elemento specifico, ma dipende dagli accostamenti che vengono a crearsi tra gli accordi, le ripetizioni, le variazioni di tono o di tonalità che (grazie alle proprietà che ciascun accordo possiede al suo interno) determinano un flusso di tensione e risoluzione.

Come nella musica, anche nel cinema ogni scena ha una sua tensione e rilascio. Non solamente nei momenti di suspense, ma anche nelle aspettative o nel creare un dinamismo all’interno dell’opera. Ogni inquadratura è un accordo a sé stante, la quale posso decidere di accostarla a un’altra, creando una tensione e il suo rilascio, determinando cosa tenere o sacrificare dell’azione.

Il ritmo

1)  Emozione

2)  Storia

3)  Ritmo

4)  Tracciato dell’occhio

5)  Piano bidimensionale dello schermo

6)  Spazio tridimensionale dell’azione

Murch spiega che l’emozione dovrebbe sempre essere la cosa che più si cerca di preservare quando si opera uno stacco. Se bisogna necessariamente operare a discapito di uno dei punti sopra elencati per la riuscita di un buon raccordo, bisogna iniziare a sacrificare risalendo la lista dal fondo, e mai dall’emozione.

Quello che lo spettatore ricorderà alla fine del film non dovranno essere le belle inquadrature, la recitazione, la storia o il montaggio: ma l’emozione che hanno provato visionando l’opera. Murch continua asserendo che se si riesce a far provare allo spettatore quello che era l’intenzione originale, allora il lavoro è stato eseguito in maniera ineccepibile ed è stato fatto tutto il possibile per tale riuscita.

Un artigiano è solitamente visto come una persona di grande abilità tecnica nel proprio mestiere, specialmente nell’immaginario collettivo dove viene di solito raffigurato come un anziano che si porta appresso una cassetta colma di attrezzi manuali ed è in grado di scegliere gli attrezzi più adatti per lavorare il materiale e conseguire il risultato finale. Daniele Maggioni, docente e regista che ho avuto modo di conoscere durante il mio terzo anno presso la scuola CISA, ha fatto questo esempio per illustrare alla classe come un artista (nel campo cinematografico) lavori con dei materiali che non sono solitamente tangibili: le emozioni.

L’autore è un artigiano che si porta appresso un bagaglio culturale e di esperienza che diventano i suoi attrezzi del mestiere. I quali impara a utilizzare (e a dosare) in base alle necessità e all’obiettivo che desidera raggiungere. Questo è un esempio del quale mi sono sempre servito come da ammonimento personale ogni volta prima di accendere il computer: bisogna avere una buona conoscenza tecnica del montaggio, ma il risultato non dev’essere la manifestazione del proprio virtuosismo, ma di mettere le proprie conoscenze tecniche al servizio dell’emozione più congeniale che si sta cercando.

(Sopra: Walter Murch)

Una delle scene che più mi ha colpito per quanto riguarda il lato recitativo è quella del film Possession (1981) di Andrzej Żuławski (1940-2016), dove l’attrice Isabelle Adjani compie una notevole modulazione dell’espressione facciale, come qui sotto, seguendo il flusso da sinistra a destra.

Ero talmente impressionato dalla bravura dell’attrice, che uno dei primi pensieri che mi era venuto in mente era quello di rallegrarmi che l’inquadratura non fosse stata tagliata, lasciandomi vedere interamente il cambiamento dell’espressione.

Anche se non è stata operata alcuna azione all’interno dell’inquadratura, paradossalmente, la decisione di non tagliare e di lasciar sviluppare l’emozione naturalmente è già di per sé un’azione. Per fare un esperimento, proviamo a tagliare l’inquadratura adattandola al contesto della storia per vedere che reazione può provocare: la scena mostra una lite coniugale tra una coppia in crisi. Improvvisamente, la donna tira uno schiaffo all’uomo e lui le chiede di rifarlo, scatenando la reazione mostrata in precedenza, come è stata montata originariamente nel film.

Tagliando la risalita del volto del marito appena un attimo prima che inciti la donna a ripetere il gesto, e inserendola dopo aver mostrato il volto stupito di lei, crea un breve momento di suspense. Si può essere portati a credere che l’uomo avrà una reazione violenta in risposta allo schiaffo, come si può evincere dal volto spaventato della donna, ma reinserendo l’inquadratura sul volto del marito che la incita a farlo di nuovo, ribaltiamo le aspettative dello spettatore.

Se teniamo la dinamica originaria, ma entriamo sul volto della donna con l’espressione più arcigna, le intenzioni diventano di tutt’altra interpretazione.

Ora è una donna decisa, che non sembra pentita del gesto che ha compiuto, e l’incitamento del marito nel ripeterlo, crea una sensazione di gioco perverso che c’è tra la coppia. Una piccola azione ha già creato un nuovo (seppur breve) stato interpretativo della scena, di conseguenza, delle aspettative diverse.
Se nei primi due esempi (l’originale e il primo esperimento) abbiamo un barlume di innocenza sul volto della donna all’entrata della sua inquadratura, nel terzo abbiamo mostrato un carattere che risulta deciso e quasi maligno. Per questo motivo è importante sapere quale emozione si vuole far provare al pubblico e che cosa si vuole raccontare esattamente.

CREDITI:

  • Foto di Walter Murch - Walter Murch working on Tetro in Buenos Aires (Beatrice Murch via Wikipedia)

  • fotogrammi “Possession”, di Andrzej Żuławski, Gaumont (1981)

  • citazioni estratte dal libro “In un Batter D’occhi”, di Walter Murch, pubblicato da Silman-James Press.

Mi chiamo Etienne Del Biaggio, sono montatore, animatore autodidatta e compositore di colonne sonore originali con sede a Giubiasco (Ticino, Svizzera). Diplomato in montaggio e post-produzione video presso la CISA di Locarno (2019), ho collaborato con Béla Tarr per Alma di Dino Longo Sabanovic, presentato al Festival di Locarno. Dal 2022 al 2023 sono stato lead editor di Fiumi Studios, curando documentari e corporate video per clienti come Siemens ed EOC Ticino.

Accanto al montaggio e alla musica, ho sviluppato competenze in grafica e animazione, realizzando diversi cortometraggi animati. Oltre alle passioni già citate, mi piace condividere le mie personali riflessioni sul montaggio cinematografico scrivendo sul mio blog "The Soul Cut", sperando di poter ispirare altre persone a interessarsi sull'argomento.