A sedici anni ho perso il mio posto di lavoro come apprendista falegname. Non capivo pienamente dove stessero le cause o la ragione dietro all’accaduto, forse non era importante e forse non importa neanche ora, ma mi aveva comunque fatto molto male dover accettare il fatto di aver perso quello che credevo fosse il lavoro della mia vita. Dovevo rimboccarmi le maniche e trovarne un altro per fare in modo di avere un futuro su questo pianeta, ma mi sentivo perso e avevo il terrore di non essere capace di alcun talento in cui “eccellere”.

Da quel momento mi era scaturito un dubbio interiore che mi portavo dietro da diverso tempo: personalmente parlando, sono una persona ignorante? O addirittura stupida?

Con il tempo imparai che era tutta una questione di punti di vista: nessun genio può sapere tutto di tutto, ma è un genio perché ha imparato a padroneggiare e a conoscere a fondo la propria materia. Per l’altro quesito, invece, la definizione letterale di stupido riguarda una persona che crea un danno o malessere intenzionale verso gli altri, senza guadagnarci niente in cambio. Credo di poter dire con tutta tranquillità di poter essere escluso da queste due categorie, anche se avrei preferito averlo saputo già a suo tempo.

Comunque, decisi di arginare la mia ignoranza facendo leva sulla mia innata curiosità e cominciai, tra una ricerca di lavoro e l’altra, a leggere diversi autori considerati dei classici della narrativa quali: Hemingway, Poe, Hugo e Dostoevskij e a guardare un film diverso ogni giorno. Il mio obiettivo non puntava a essere migliore o superiore agli altri, ma mi ero posto come obiettivo personale il cercare di capire che cosa avesse reso un classico tale, vivendo l’emozione della prima visione/lettura e, successivamente, individuare quali erano gli elementi e lo stile che lo avevano caratterizzato e fatto rimanere nell’immaginario collettivo.

Con il passare degli anni, mi sono sempre più convinto che quella passione non doveva essere soltanto un’ancora di salvezza momentanea, ma desideravo diventasse una ragione di vita: come delle persone mi avevano regalato emozioni, desideravo regalarne ad altre che stavano passando dei momenti anche peggiori dei miei, in modo che potessero staccare la spina dai loro problemi per qualche istante. Questo mi ha portato a rispondere alla domanda su che cosa volessi veramente fare nella mia vita. Ma la conseguenza è stata di far sorgere un altra: come fa un “semplice” accostamento di determinate immagini e suoni scatenare reazioni viscerali all’interno di uno spettatore?

Fondamentale è stata la vicinanza con i miei due amici d’infanzia, anch’essi dotati di una grande immaginazione per la creazione di situazioni comiche e grottesche che avevano per protagonisti alcuni conoscenti della fauna locale. Man mano che le nostre storie progredivano, il semplice raccontarle a voce non ci bastava più. Così, in modo da poter portare alla luce le idee che avevamo in testa, ci improvvisammo nel montaggio video di piccoli sketch comici rimontando e ridoppiando scene prese da film famosi e adattandoli al contesto delle nostre latitudini. Inoltre, quello che mi ha fatto definitivamente optare per la post-produzione è stato vedere il lavoro degli altri compagni di classe alla scuola di cinema CISA mentre ci veniva assegnato lo stesso materiale da montare e ne uscivano venti opere differenti. Questo mi ha portato a concludere che, personalmente, in questo settore non avrei mai avuto un vero rivale. Non perché credo di essere il migliore, ma perché confido che se qualcuno si affida a me, è perché apprezza la mia sensibilità e le scelte che applico.

Quello fu il momento in cui mi innamorai del processo di montaggio di un’opera: il prendere dei singoli elementi e il poterli combinare insieme al fine di creare un unisono che ha come fine ultimo la manifestazione di una o più emozioni. Per me fu magia pura e, come la vera magia, come poteva essa funzionare? Badate bene, non sto parlando di mera tecnicità. Con la giusta dose di pratica, la tecnica può essere alla portata di chiunque e ognuno può finire un giorno a padroneggiare i tagli e le dissolvenze incrociate. No, mi stavo chiedendo: come fa il cervello ad accettarle?

Nel 1922, il pioniere della scuola di montaggio russa Lev Vladimirovič Kulešov (1899-1970) dimostrò con l’esperimento che verrà denominato “Effetto Kulešov”, come la percezione dello spettatore possa venire influenzata da una determinata successione di inquadrature. Filmando il volto dell’attore Ivan Muzzochin, il quale, mostra sempre la medesima espressione e intercalandolo tra altre di diverso tipo, come nell’esempio sottostante, in cui il volto dell’uomo viene alternato all’immagine di una donna attraente e a quelle di una bambina posizionata in una bara.

L’accostamento crea un fenomeno cognitivo che fa cambiare la percezione nello spettatore sullo stato emozionale e le intenzioni dell’uomo ritratto, interpretando la sua espressione all’inquadratura successiva. Questo funziona perché l’associazione innesca una reazione di tipo “stimolo-risposta”: la donna e/o la bambina morta danno una determinata informazione sul contesto che l’uomo si trova ipoteticamente di fronte, creando nello spettatore lo stimolo ad associare (o di interpretare) le proprie emozioni attraverso l’espressività dell’uomo ritratto, causato dall’aspettativa indotta dallo stimolo che deve trovare un “punto di arrivo”.

In breve: in base al contesto, diamo una differente interpretazione della realtà che abbiamo di fronte.

In fondo, questo principio lo applichiamo continuamente alle varie situazioni che ci si presentano di fronte ogni giorno. Sin dall’alba dell’umanità, il nostro cervello si è sviluppato in modo da poter creare dei collegamenti al fine di trovare delle soluzioni che ci hanno permesso di vivere fino a oggi. Ognuno di noi ha la propria personalità e il suo bagaglio di esperienze (non importa quanto grande o piccolo) che gli permettono di interpretare la realtà che gli si pone di fronte, ed è proprio da questo che il cervello si identifica con l’opera e cerca di accumulare più informazioni possibili al fine di avere un quadro completo in cui poter esprimere la propria emozione al riguardo. Inoltre, quando ci apprestiamo a entrare in contatto con un’opera d’arte quale il cinema, stringiamo tacitamente un patto di sospendere momentaneamente la nostra incredulità e, a dipendenza della nostra apertura verso la finzione, accettiamo per un momento dell’esistenza di quell’universo che abbiamo di fronte.

In conclusione, quello che ho imparato è che su questo mondo ci sono molti punti di vista, i quali diventano storie, e le storie continuano a cambiare di contesto e, di conseguenza, il contesto influenzerà il punto di vista iniziale da cui eravamo partiti. Prendete la mia storia personale dell’inizio: non so ancora adesso se sono ignorante o meno. Però, mi sento a mio agio nell’aver trovato il lavoro dei miei sogni e, partendo da questo contesto, so solo che il l’emozione più importante al momento è essere felice.

Il Montaggio delle Emozioni #01

di Etienne Delbiaggio | 17 settembre 2025

Un’esperienza personale